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UN'ALTRA GIOVINEZZA
(YOUTH WITHOUT YOUTH)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 31 dicembre 2007
 
di Francis Ford Coppola, con Tim Roth, Alexandra Maria Lara, Bruno Ganz, Marcel Iures, André M. Hennicke, Adrian Pintea, Alexandra Pirici (Stati Uniti, 2007)
 
Càpita perfino dalle nostre parti (in un sottobosco para-malcantonese autunnale popolato da agenti di polizia con tanto di autovetture targate TI; ma il film è stato girato in Romania) nel suo girovagare, il protagonista dell'ultimo film del mitico Francis Coppola. Traendolo dal romanzo del 1976 del rumeno Mircea Eliade, storico delle religioni, discepolo di Jung, esploratore delle culture spirituali primitive, l'autore de IL PADRINO gli fa vivere una vicenda non esattamente da poco. Professore di linguistica settantenne, il giorno di Pasqua del 1938 viene colpito da un fulmine: semi-carbonizzato, assistito da un medico interpretato da un curioso Bruno Ganz non solo non muore, ma rinvigorisce e ringiovanisce di trent'anni. La sua memoria è centuplicata, la sua conoscenza delle lingue, dalle presenti al sanscrito, al babilonese, sumero, egizio non conosce limiti. Oggetto di studio, ovviamente ambito dagli studiosi di tutto il mondo, in primis dai nazisti sempre a caccia di quel genere di primizie genetiche, finirà come d'uso per pagare a caro prezzo la giovinezza ritrovata. E con quella, la possibilità di rifare esperienze fallite o far rivivere relazioni amorose andate a suo tempo di traverso. Inseguito per mezzo mondo (ecco il Ticino dalle foglie secche) durante e dopo la Seconda Guerra, confrontato ad un suo Doppio che lo obbliga a rimettersi in questione, costretto ad abbandonare la donna amata con la quale il destino gli ha decisamente negato di vivere in sintonia (lui rigenera a vista d'occhio, lei, colmo di disdetta, invecchia appena lui è in zona), finirà per ritornarsene ( e con lui la giusta circolarità del film) nella Romania natia dell'inizio, ovviamente resettato da ultracentenario.

Pagine, quelle del libro, certamente stranianti, forse mirabolanti. Materia comunque abnorme, che per la traduzione di buon senso in cinema necessita in primo luogo di uno sceneggiatore, possibilmente lucido ed energico. Sennonché, Coppola non girava più dal 1976 dell'alimentare L'UOMO DELLA PIOGGIA, un film che concludeva una carriera ricca di titoli da primo della classe in assoluto degli anni Settanta (da IL PADRINO a APOCALYPSE NOW), poi sperimentatore incostante ma talvolta esaltante (OUTSIDERS, RUSTY JAMES, PEGGY SUE), tal altra ispirato, malinconico poeta (IL PADRINO 3, DRACULA). Una carriera dalle vette vertiginose, ma da parte di qualcuno che si è sempre ritenuto genio incompreso e vittima del sistema: tanto da fargli decidere, finalmente benestante grazie alla vigna nella Napa Valley di concedersi finalmente ogni libertà. Prima fra tutte, quella di sceneggiare, oltre che dirigere e produrre YOUTH WITHOUT YOUTH.

Grande cineasta, Coppola non ha forse meditato abbastanza sulle vicende del cinema del proprio Paese; per accorgersi che questo ha spesso dato il meglio di sé sotto i condizionamenti di ogni sorta. Un produttore, uno sceneggiatore oculato gli avrebbe suggerito di non volere ad ogni costo fare di questo film una sorta di somma materiale e spirituale di tutte le sue pur encomiabili e rispettabili preoccupazioni. Avrete infatti compreso, più sbrigativamente di chi deve decifrarlo davanti allo schermo che l'ansia della giovinezza è quella del mito di Faust, il vampirismo della passione amorosa è quello di Dracula, gli incerti delle sperimentazioni scientifiche quelli di Frankenstein. E, a ritroso nel tempo il regista era già andato, tanto più ordinatamente, meno pedantemente in PEGGY SUE.

Non è poi che dalla parte della regia tutto si incanali armoniosamente: un po' pigramente incorniciate in cromatismi slavati, l'ambientazione Anni Trenta, quella nazi-fascista, le sovrimpressioni, le inquadrature capovolte, gli orologi che accelerano lo scorrere del tempo non rappresentano proprio il massimo delle trovate. E, nel migliore dei casi, riprendono atmosfere appartenute ai Lang o ai Welles. Se nella prima parte il film segue la logica di un cinema fantastico permeato di malinconia esistenziale, di un certo humour che non è ancora involontario (l'affascinante spia che nell'amplesso svela la svastica sulla giarrettiera) progressivamente si perde nel suo esasperante divagare temporale e spaziale. Metempsicosi, filosofie orientali, reincarnazioni, energie paranormali sfiorano drammaticamente il ridicolo quando, come si poteva temere, si finisce in India sulle tracce di un'ispirazione a dir poco semplicistica. E con dei dialoghi che (stavolta siamo sbarcati a Malta) ci regalano perle del genere: "Di che uccello si tratta? Certamente di un falcone maltese"...

Certo, si deve anche rispettare il cineasta ormai settantenne che osa buttarsi a capofitto in quella giostra di sollecitazioni oniriche, culturali ed estetiche che gli nascono da una vita spesa ai vertici della creazione cinematografica; e di vederle confrontate con i condizionamenti pure commoventi di chi sempre più deve coniugarle con i temi eterni della vecchiaia e della morte, della giovinezza e del tempo che sfugge. Ma, anche per il grande Coppola c'è modo e modo.


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